venerdì 16 novembre 2012

I gatti hanno sette vite

Quante ne hanno gli uomini?
Non lo so. Quello che so è che di certo io ne ho vissute già diverse. Una vera fortuna. C'è chi non si rende nemmeno conto di viverne una!
Il mio osteopata una volta mi disse che nel passato (ma quanto passato?) sono stata un guerriero crudele e sanguinario. Ora non so se l'osteopata era in comunicazione con l'aldilà mentre mi premeva una gamba contro un orecchio oppure se avesse voglia di prendermi giro, sta di fatto che io l'ho bevuta, e ho archiviato l'informazione. Il bello è che quando mi fece cotanta dichiarazione io ero già sicura di star vivendo una seconda vita rispetto a una prima, che era durata 25 anni e si era chiusa un pomeriggio, in via Pirandello, quando una dottoressa (vorrei darle un aggettivo ma non me ne viene uno solo che renda bene l'idea di cosa penso di lei), dopo avermi visitato, mi disse: "Devi andare di corsa a farti vedere all'Istituto dei Tumori". "Altrimenti?", le chiesi io. "Muori", mi rispose lei.
Non ricordo se poco prima o poco dopo questa ferale notizia ero stata allo Stadio San Siro a vedere e ascoltare DAVID BOWIE. Mi ricordo però che David era calato fra noi dall'alto, come un angelo e questo per me rimane un ricordo emblematico della cesura fra la mia prima e seconda vita. Quest'ultima ebbe inizio a 27 anni e pochi mesi ed è segnata dall'incontro con un fiorentino purosangue, proprietario di un pulmino Volkswagen senza parabrezza da lui battezzato Nosferatu, senza il quale, forse, non avrei mai avuto l'occasione di intraprendere un cammino costellato di C aspirate e di camicie a pois, durato 11 anni.
Undici anni però non sono la misura della seconda vita, no, lei è durata di più. Ero arrivata – un po' piegata, lo confesso, ma fedele a me stessa e al mio caparbio modo di scorazzare in questo mondo – alla soglia dei magici Fifties, quando, uscendo dal tubo in cui ti infilano quando ti fanno la RMN, un tesoro (di nome e di fatto) d'uomo mi ha detto: "Vestiti e poi vieni nel mio studio". Questa volta non calò dal cielo David Bowie, ma mi prese la mano Wanda, che mi aspettava fuori, con uno sguardo che ancora oggi, a ripensarci, mi strugge. Wanda fu presto raggiunta dalle mie due fidatissime moschettiere: Obi e la Caposala. Formammo un quartetto che, a guardarlo a ritroso era a dir poco assurdo. Io, fumando, svettavo in altezza su Wanda, Obi e la Caposala anche se eravamo tutte sedute sui gradini dell'ingresso bellissimo, in perfetto stile liberty, a discutere il da farsi. Credo che fossimo terrorizzate, ma nessuna lo dava a vedere. Forse non ci volevamo credere. Prendemmo l'unica decisione importante e immediata da prendere: andare insieme dalla Grande Madre a comunicarle il fattaccio. Ci aspettavamo la tempesta, fiumi di lacrime e di disperazionne. Invece, a piangere fu mio padre. Fu un pianto silenzioso, discreto e tristissimo. La mamma reagì con un "Me lo aspettavo", e sono sicura che non sarebbe andata così se non fossimo state tutte lì, a proteggerla nel dolore che una mamma deve provare sapendo che ha un figlio molto malato. Non so come, finimmo la serata bevendo un aperitivo con i nostri uomini e con un amico speciale, che da dietro un  enorme mazzo di fiori prese da parte il mio neofidanzatone e gli sussurrò: "Non ti preoccupare, basta poco e guarisce". Poi mi diede i fiori e un bacio. Fu l'inizio del viaggio su Papalla e la fine della seconda vita.
Sono tornata da Papalla non da molto. Sono ancora stralunata, ma so che ho iniziato a vivere la mia terza vita (senza considerare quella vissuta da guerriero sanguinario!). Quante ne avrò da vivere ancora? E se fossi un gatto piuttosto che un antico e cattivissimo guerriero?